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Mercato

    Claudia De Cupis
    Lavinia Di Maria
    Tommaso Gristina

    Mercato: Luogo della città deputato allo scambio di merci alimentari, animali e naturali che prevede alla base un continuo contatto fra commercianti, acquirenti e abitanti. Il mercato, dai babilonesi ai giorni d’oggi, è un ambiente destinato all’incontro osmotico fra culture. Mercato come opera d’arte. Questa è l’espressione più adatta per definire quella stratificazione di suoni, profumi, attività e caotici episodi che si svolgono nel luogo deputato ai rapporti commerciali e di vendita di prodotti di ogni genere e forma. Pur non prevedendo l’esposizione di oggetti destinati essenzialmente alla fruibilità estetica, il mercato è lo spazio nel quale si condivide un linguaggio simile a quello artistico: le contaminazioni che vi si realizzano possono essere analizzate sia da un punto di vista spaziale, negli scambi osmotici fra il luogo stesso e la città, sia socioculturale, nel confronto fra comunità e tradizioni eterogenee. Come viene osservato, infatti, da Donatella Icadorna “Nel mondo contemporaneo lo spazio dedicato ai mercati non è più inteso come “vuoto urbano”, riempito di bancarelle e banchi mobili, i quali, terminate le ore dedicate alla vendita, lasciano il posto a un piazzale vuoto e anonimo. Si tratta, invece, di oggetti d’arte che assumono la funzione di involucro dello spazio adibito agli scambi. All’interno è tutto un susseguirsi di colori, forme e suoni dalla valenza artistica e culturale” (Icadorna, Aprile 2023).
    Per queste ragioni, il mercato rappresenta un paesaggio di confine che può essere indagato attraverso molteplici prospettive. Si possono evidenziare tre sfumature di confine: la prima relativa alla sfera socio-antropologica, in quanto il mercato storicamente costituisce l’opportunità di un incontro fra venditori e acquirenti, tra masse eterogenee della popolazione, esaltando il valore plurale delle comunità. La seconda è legata alle caratteristiche del luogo fisico, in osmosi con le piazze, le strade, gli edifici e le strutture pubbliche o private circostanti, secondo l’organizzazione topografica delle città. In ultimo, il mercato è un luogo che favorisce l’attraversamento e il superamento di confini identitari e valorizza come una risorsa la mescolanza di individui di provenienza diversa. A partire dal IV millennio a. C., con i Sumeri e i Babilonesi, lo spazio aperto della piazza è divenuto l’ambiente ideale per gli scambi commerciali, ospitando una varietà di punti di vendita e di prodotti (Figliuolo 2020: 24-27). Nella Roma del II secolo a. C. lo sviluppo architettonico e urbanistico ha portato, invece, alla creazione dei macella, un complesso di edifici dotati di copertura, dove avveniva, in alcuni, il processo di macellazione degli animali (Treccani, “Dizionario di Storia” 2010). Un esempio di macellum è Campo de’ Fiori a Roma, inquadrato da due vie principali: via del Pellegrino e via Giulia.
    La Roma tardo-repubblicana aveva un ruolo politico ed economico di estrema centralità nell’orizzonte europeo del Mediterraneo e il suo ambiente culturale contribuì fortemente alla nascita di nuclei commerciali, inseriti in un’ampia rete di rapporti finanziari. È sufficiente pensare al mercato di schiavi di Cartagine, a quelli di bestiame dell’Etiopia, al commercio di pietre dure e marmi nell’antico regno dei Parti, oppure ai mercati di minerali provenienti dalle Gallie. Volendo ricordare luoghi deputati allo scambio di merci che ancora oggi mantengono la propria funzione originaria, il macellum di Campo de’ Fiori, sembra costituire l’esempio più calzante, perché permette di analizzare la funzione socioculturale del mercato in momenti diversi della storia della città.
    La piazza fu scelta, infatti, tra il 61 e il 55 a.C. come luogo destinato ad ospitare il teatro dedicato da Pompeo alla sua amata, Flora; rimase un campo verdeggiante, una radura fiorita fino alla prima metà del Quattrocento, sebbene già dal Duecento fosse stato avviato il processo di edificazione dei palazzi circostanti, strutture che progressivamente costituirono la “cornice” architettonica del luogo deputato allo scambio delle merci. Nel XV secolo il campo fu tramutato in mercato, come dimostra il lastricamento della piazza nel 1456, avvenuto per volontà del Pontefice Callisto III. Solo nel 1869 Campo De’ Fiori, divenne a tutti gli effetti e a pieno diritto secondo la legge, mercato.
    Il mercato di Mezzo consente oggi di immergersi nell’atmosfera della Bologna medievale, perennemente in contrasto con le potenze esterne, dal pontificato al Ducato di Milano. Questo luogo ha rappresentato una delle chiavi di rivendicazione dell’indipendenza politica della città, la cui economia tra il XII e XIII secolo era fondata sul commercio di materie prime. In questo senso, il mercato di Mezzo segna simbolicamente la volontà di salvaguardare, da influenti invasori, un confine geografico identitario e delle priorità valoriali della cittadinanza. Diverso è il discorso per i mercati siciliani o veneziani: questi spazi non erano solo un luogo di interscambio culturale; costituivano, soprattutto, il cuore delle attività dei singoli centri urbani. Dal IX al XIV secolo, in particolare, la città di Palermo fu profondamente segnata dai contatti con le popolazioni musulmane, mentre la realtà di Venezia, più simile a quelle della Sicilia del Nord, venne caratterizzata da rapporti di incontro e scontro con le comunità cristiane del vicino Oriente.
    Gli empori storici come il Mercato di Rialto, di Rio Terà San Leonardo o di Campo Santa Margherita furono, infatti, il risultato dello sviluppo di precise dinamiche politiche e sociali che hanno reso Venezia una città pluriculturale, i cui traffici commerciali erano spesso legali al vicino oriente bizantino, rappresentato da Costantinopoli.