Border studies e nuova museologia
Irene Baldriga
Uno dei più interessanti sviluppi metodologici degli ultimi anni, soprattutto per chi si occupi di patrimonio in una chiave interdisciplinare e di deciso orientamento politico-culturale, è quello dei cosiddetti border studies: un approccio di lavoro che indaga il tema del confine come spazio di separazione e di incontro, sia in senso fisico/geografico che in una prospettiva simbolica (Rumford, 2006; Dell’Agnese, 2014, Nail, 2016; Schimanski e Wolfe, 2017). La ricchezza e la complessità
dell’idea di confine si sono rivelate nel corso del tempo un terreno di grande ispirazione; in campo filosofico, si è evidenziata per esempio la qualità ontologica del confine, da intendersi nel senso di dispositivo piuttosto che di oggetto e dunque come combinazione di elementi materiali e immateriali (Sferrazza Papa, 2020). Studi recenti hanno proposto un collegamento sostanziale tra i concetti di confine e di paesaggio culturale, un’espressione divenuta comune tra gli esperti di tutela del patrimonio, specialmente a seguito della definizione adottata dall’UNESCO nel 1992 nel quadro della Convenzione sul patrimonio mondiale dell’umanità:
[…] paesaggi che rappresentano «creazioni congiunte dell’uomo e della natura» […] e che illustrano l’evoluzione di una società e del suo insediamento nel tempo sotto l’influenza di costrizioni
e/o opportunità presentate, all’interno e all’esterno, dall’ambiente naturale e da spinte culturali, economiche e sociali.
Irene Baldriga, “Patrimonio plurale. Border studies e nuova museologia”, in Costruire valori di cittadinanza. Arte e patrimonio come elementi di partecipazione, a cura di L. Filadoro e M. Dallari, Erickson Editori, Trento, 2023, pp. 47-64